Bari porta del levante, appunti per una recensione (1)- di Luca Basso

Paragrafo 1:
Per un’archeologia dei sentimenti

È difficile spiegare con precisione che cos’ è stato il viaggio a Bari di Isolario.
In tante telefonate prima della Biennale di Bari, Donatello aveva provato a spiegarmi il progetto, ma con poca fortuna: mi sembrava tutto molto vaporoso, vago, molto spesso, finite le telefonate, mi restava la sensazione che Francesca e Donatello per primi non sapessero dove andare a parare.
E anche dopo l’inizio della loro esplorazione barese continuavo a trovare misterioso il movente della loro operazione. Mi ricordo una volta, al porto, Donatello stesso che si interrogava su come specificare la natura del progetto: “No, forse non è un workshop (che parola orribile !!), forse è piuttosto un happening…”
Insomma, ancora quando ci siamo separati, alla fine della Biennale, il mistero era fitto e la domanda “Che cos’è Isolario?” ancora non aveva risposta.
Solo qualche giorno fa, ragionando su quello che avrei detto durante la presentazione milanese del progetto, mi è venuta in mente la risposta giusta: in quei giorni a Bari Francesca e Donatello hanno realizzato una campagna di scavi. La loro è stata archeologia umana, anzi meglio archeologia dei sentimenti.
La parte più importante del loro lavoro e delle loro ricerche sul campo, infatti, è stata quella sentimentale, costruita frugando nei cuori delle persone incontrate.
Archeologia dei sentimenti: andare nei posti, incontrare volti e voci, chiedere a sconosciuti di mostrare quello che avevano di più intimo.
Questo è stato il lavoro di questi due sciagurati: fare ritornare dal passato sentimenti smarriti, scovarli, spolverarli, raccoglierli ed esporli. Con impudico pudore. Non è così che fanno gli archeologi?
Il loro obiettivo era raggiunto quando la persona intervistata pronunciava una frase tipo: “…e questo non l’ho, mai detto a nessuno…”, “Questo non me lo dimenticherò mai”, “questo me lo ero quasi dimenticato” “Ero sicuro che prima o poi qualcuno mi avrebbe chiesto queste cose”…
Accompagnandoli nelle loro esplorazioni ho visto cose incredibili: ho conosciuto l’eroismo e l’orgoglio professionale degli autisti degli autobus, ho ascoltato la storia di un uomo morto di crepacuore, ho visto un musicista esperto e compassato emozionarsi come un ragazzino mentre parlava della sua passione antica per la radio AM, ho immaginato il lavoro di uomini abitanti in posti lontani che ogni giorno lanciano suoni in posti sconosciuti.
Ho immaginato un messaggio, una notizia, una musica, viaggiare trasportati dalla luce del sole, diventare uccelli sopra il mare, e finalmente ritornare messaggio, notizia, canzone perché a migliaia di chilometri di distanza c’è qualcuno che con pazienza li raccoglie.
Come si fa a spiegare tutto questo? La cosa più importante di questo lavoro non ha impressionato nessuna pellicola, e non si è fermata su nessun pixel; la cosa più importante è del tutto invisibile, immateriale, intangibile, impercettibile se non con un sesto senso.
Quale scrigno di tesori può essere una vecchia radiolina a transistor, noi che passiamo le giornate davanti al computer non immaginiamo nemmeno, e il viaggio più fecondo è quando parti senza metterti in valigia un’idea troppo chiara.
(Continua)

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